È possibile coinvolgere attivamente i cittadini nella ricerca scientifica? La Citizen Science, ovvero la Scienza partecipativa, sta cercando di farlo, e in Europa sta prendendo sempre più piede. Ma quali sono le strategie di comunicazione più utilizzate dai progetti di Citizen Science e quanto sono efficaci nel coinvolgere il pubblico?
Coinvolgere i cittadini nella Scienza: il potenziale della Citizen Science
La partecipazione dei cittadini alla ricerca scientifica è ormai un concetto che ha trovato larga adesione, tanto che nel 2014 la sua definizione viene riconosciuta a livello accademico. La Citizen Science, ovvero la Scienza del cittadino, fa leva su l’attiva partecipazione dei volontari nella raccolta, analisi e interpretazione dei dati di ricerca. Un approccio innovativo che introduce nuove evidenze e informazioni, rendendo la Scienza un’esperienza democratica e alla portata di tutti.
Secondo l’Associazione Europea di Citizen Science (ECSA), adottare questo approccio significa contribuire alla ricerca scientifica ma anche responsabilizzare i cittadini nel creare collaborazione tra le comunità locali e gli scienziati. L’apporto attivo dei cittadini può così supportare gli scienziati nei loro studi e consentire loro di sconfinare in nuovi ambiti conoscitivi ed evidenze scientifiche. Il coinvolgimento dei cittadini nella Scienza è inoltre un’ottima occasione di divulgazione scientifica e di formazione pubblica, che permette di entrare in contatto diretto con il mondo accademico e accrescere consapevolezza attraverso un metodo partecipato.
I progetti di Citizen Science, allo stesso tempo, presentano un potenziale notevole nel coinvolgere e apportare benefici ad altri attori interessati e, in questo senso, un piano di comunicazione e divulgazione è fondamentale. I decisori politici possono aprire un canale di dialogo per identificare questioni emergenti all’interno delle comunità, mentre cittadini, scienziati e organizzazioni possono condividere idee e trarre beneficio in termini di innovazione responsabile.
Ma per cosa si contraddistingue un piano di comunicazione nei progetti di Citizen Science?
Ancora oggi la comunità scientifica e gli esperti in comunicazione si interroga su questo punto, con l’obiettivo di generare nuove pratiche di inclusione che, se da un lato mirano ad introdurre un valore conoscitivo che trascende dall’approccio accademico, dall’altro, inevitabilmente, si scontrano con i modelli di informazione finora adottati e generano forti frizioni sul fronte istituzionale. Anche per queste ragioni, la Citizen Science sta riscuotendo crescente interesse in Europa, dove però resta necessario comprenderne la sua evoluzione e, soprattutto, le strategie di comunicazione fino ad oggi adottate per coinvolgere un numero di cittadini sempre maggiore.
Temi e durata dei progetti di Citizen Science: i fondamenti delle strategie di coinvolgimento
La Citizen Science sta guadagnando sempre più terreno in Europa, con progetti che rivolgono un’attenzione particolare alle questioni ambientali e un recente studio condotto dalla SISSA, Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, pubblicato a marzo 2023 sul Journal of Science Communication, ci fornisce dati interessanti su questa tendenza in crescita. Lo studio ha analizzato 157 progetti di Citizen Science in Europa, aderenti al programma Horizon 2020, principalmente provenienti da Spagna (37%), Portogallo (17%) e Italia (11%). I risultati mostrano che la maggior parte dei progetti si concentra su questioni legate all’ambiente e al territorio (66,5%), con un focus particolare sulla biodiversità (35,6%).

Distribuzione geografica dei 157 progetti di Citizen Science esaminati provenienti dai paesi europei nell’UE, nel Regno Unito e in Svizzera. L’intensità dall’ocra al giallo indica la concentrazione dei progetti che hanno aderito al sondaggio. Il grigio indica l’assenza di progetti esaminati – Citizen science and participatory science communication: an empirically informed discussion connecting research and theory JCOM 22(02).
Risulta altrettanto interessante scoprire che i progetti di Citizen Science hanno una durata media di 4 anni, con solo il 18,5% che si estende per 10 anni o più. Questo dato evidenzia la necessità di una gestione attenta nel tempo, che consideri l’implementazione di strategie di coinvolgimento a lungo termine. Una sfida importante per la comunità scientifica e gli organizzatori dei progetti è proprio mantenere alto l’interesse e l’impegno dei cittadini nel tempo.
Per raggiungere questo obiettivo è possibile adottare diverse pratiche. La gamification, ad esempio, consiste nell’utilizzare premi e ricompense per motivare e mantenere vivo l’interesse delle persone. Workshop e incontri di gruppo possono favorire la partecipazione pubblica e prevenire la disaffezione. A prescindere dalla strategia scelta, la flessibilità nella comunicazione è essenziale per soddisfare le esigenze di tutti gli attori coinvolti. Questo richiede uno scambio di feedback periodici per raccogliere informazioni sulle esperienze, le idee e le preoccupazioni dei partecipanti.
Almeno da un punto di vista teorico, si evince che la Citizen Science si accredita come una forma di ricerca scientifica alternativa che si discosta dai tradizionali progetti scientifici, e questa tendenza riflette una mentalità che piuttosto distante dagli standard accademici, focalizzandosi maggiormente su un approccio collaborativo tra differenti saperi.
“Il potenziale dietro alla Citizen Science sta proprio nell’introdurre pratiche alternative durante le diverse fasi di ricerca – spiega Paolo Giardullo, ricercatore e sociologo presso l’Università di Padova, tra gli autori dell’articolo – eppure, dalle risposte fornite all’interno dei questionari, è emerso che le strategie messe in campo finora non hanno introdotto soluzioni particolarmente diverse da quelle dei progetti di ricerca convenzionali”.
Come possiamo superare questo ostacolo?
“Crediamo sia fondamentale dimostrare l’impatto tangibile che la Citizen Science può avere, in concreto, nel mondo reale della Ricerca. Per questo motivo la comunicazione e la divulgazione sono fondamentali per instaurare un approccio collaborativo, ad esempio, attraverso la condivisione dei risultati ottenuti dai progetti, evidenziando come le scoperte fatte dai cittadini possano influenzare e migliorare le decisioni e le politiche ”.
In questo senso, la scelta dei canali di comunicazione è fondamentale per instaurare un dialogo bidirezionale tra esperti e comunità locali. Questo può essere fatto attraverso dei report, newsletter e altri mezzi di comunicazione.
La comunicazione nei progetti di Citizen Science: metodi e canali
Non c’è da stupirsi se i canali digitali sono in costante crescita, in particolare i social media. L’85,3% dei progetti ha almeno un account sui social media e circa il 33% ne ha tre o più. Inoltre, l’85% dei progetti ha dichiarato di disporre di un sito web con diverse funzionalità, come sezioni FAQ, open calls/webinar, forum e chat. Dal sondaggio condotto, i social media rappresentano lo strumento di promozione pubblica principale per il 41% dei progetti, seguiti da radio/TV (22%) e giornali (25%). Anche se sembra che tale risorsa non sia adeguatamente sfruttata, poiché solo il 22% dei progetti ha un responsabile dedicato alla gestione delle piattaforme digitali, mentre il 63% dichiara di avere almeno un membro dello staff con una formazione in comunicazione scientifica.

Canali di comunicazione più utilizzati nei progetti di Citizen Science – Citizen science and participatory science communication: an empirically informed discussion connecting research and theory JCOM22(02)
Sotto il profilo della comunicazione e della divulgazione dei risultati scientifici, la Citizen Science appare una pratica ancora poco strutturata: i dati mostrano che il 61% dei progetti non dispone ancora di un metodo comunicativo consolidato per collaborare con i cittadini, anche se si riscontrano alcune tendenze, come ad esempio le attività di monitoraggio (65,5%). “Tra i precursori di questa pratica in Italia, troviamo il Museo di Storia Naturale della Maremma (MSNM) che organizza da diversi anni iniziative di partecipazione pubblica per la raccolta di dati naturalistici” approfondisce Giardullo.
Secondo i ricercatori e le ricercatrici che hanno condotto lo studio, la grande sfida dei prossimi anni consisterà nell’includere i cittadini in ruoli sempre più centrali nelle attività scientifiche, come l’interpretazione e la formulazione delle domande di ricerca e soprattutto nelle attività di divulgazione: “Perseguire questo obiettivo significa innanzitutto riconsiderare i modelli comunicativi finora adottati – spiega Giardullo – dai dati raccolti durante l’indagine emerge che i progetti di comunicazione scientifica non hanno ancora raggiunto l’obiettivo di instaurare un dialogo bidirezionale con i cittadini. Al contrario, si è osservato che finora è stata adottata una rivisitazione del modello di divulgazione top-down, che era già stato criticato da tempo e che finora non ha portato ai risultati auspicati”.
Dallo studio risulta infatti che la comunicazione scientifica si concentra principalmente sui cittadini come target principale, anziché coinvolgerli come supporto per promuovere i contenuti di ricerca. Solo il 44,9% dei progetti dichiara di invitare attivamente le comunità a partecipare alle attività di divulgazione, e solo il 14,7% lo fa con regolarità. Inoltre, sembra che la definizione di “pubblico” sia molto generica, senza l’identificazione di un pubblico ben definito. Un approccio considerato dai ricercatori limitante, poiché non tiene in considerazione una più ampia gamma di attori coinvolti nella Scienza partecipativa.
“La mancanza di una strategia di comunicazione mirata determina uno scarso coinvolgimento di diversi attori nella promozione della ricerca scientifica, come stakeholders, giornalisti, industrie e ONG – continua Giardullo – questo risultato suggerisce che manca ancora una collaborazione integrata e una sinergia tra tali attori, che potrebbero invece contribuire in modo significativo alla diffusione e all’implementazione delle evidenze scientifiche.
Come si potrebbe quindi cambiare questa tendenza? “Ad oggi, quando si parla di Citizen Science viene messa in campo tanta teoria e poca pratica. Questo anche per tutta una serie di ragioni che dipendono, ad esempio, dalla presenza di forti barriere istituzionali.
Il riconoscimento della Citizen Science: quali sfide da affrontare
Ancora oggi esistono delle difficoltà nel riconoscere in maniera adeguata le attività di Citizen Science, anche se sembra finalmente che le istituzioni stiano iniziando a muoversi in questa direzione.
L’Unione Europea sta fornendo un contributo significativo in questo ambito, anche se la strada da percorrere è ancora lunga. In alcuni paesi europei, come quelli del Nord Europa, il Regno Unito e la Spagna, la Citizen Science ha intrapreso un percorso più strutturato, con progetti avviati da diversi anni e un forte legame instaurato con le comunità locali e le istituzioni. In altri Paesi, tra cui l’Italia, i ricercatori e le ricercatrici coinvolte in attività di Citizen Science potrebbero incontrare non poche difficoltà. Questo è ciò che è emerso dopo aver raccolto una serie di interviste all’interno del progetto NEWSERA, che indaga il potenziale della Citizen Science come strumento per migliorare la comunicazione scientifica, data la sua crescente diffusione in Europa e nel mondo.
“Dalle nostre interviste svolte in una differente fase del progetto NEWSERA, è emerso più volte che i ricercatori di istituti pubblici svolgono attività di Citizen Science ma non hanno a disposizione un’area dedicata per rendicontare le proprie ore di lavoro nel progetto – riferisce Giardullo – oppure possono trovarsi di fronte a reazioni negative quando cercano di registrare quelle ore come attività di ricerca, che per altri potrebbero essere considerate come semplice divulgazione”.
Si configura quindi uno scenario frammentato, che richiede innanzitutto la promozione di un cambio culturale nelle comunità di ricercatori, accompagnata dalla sfida condivisa di creare un flusso di gestione della ricerca flessibile ed efficace, in grado di supportare le variegate attività di Citizen Science.
Proprio quest’anno, a Febbraio, è stata fondata l’Associazione Italiana di Citizen Science, che nasce da un percorso avviato nel 2017. Tra i momenti principali di questo percorso ci sono stati l’organizzazione di due Convegni Nazionali e la redazione di linee guida per lo sviluppo di una strategia nazionale di Citizen Science. Questo documento destinato ai ministeri, agli enti e alle amministrazioni pubbliche, offre “linee guida e raccomandazioni per il riconoscimento strutturale della Citizen Science“. L’obiettivo è quello di inserirlo negli strumenti normativi e di programmazione esistenti e di sviluppare una strategia specifica che favorisca una solida collaborazione tra scienziati, cittadini e pubblica amministrazione.
Una questione di fiducia
Il potenziale della Citizen Science risiede nell’integrazione efficace tra la conoscenza scientifica formale e il sapere informale dei cittadini. L’interazione tra queste due fonti di conoscenza è senz’altro complessa e si fonda sulla costruzione di un rapporto solido e duraturo, basato sulla fiducia.
Un esempio di tale interazione si verificò in Cumbria, una regione dell’Inghilterra che tra il 2 e 3 Maggio del 1987 fu investita dalla nube radioattiva causata dal disastro di Chernobyl. Come misura di prevenzione, le istituzioni imposero divieti ai pastori sul commercio degli animali e restrizioni sulle aree destinate al pascolo, senza confrontarsi con le comunità locali. I pastori contrapposero le loro conoscenze basate dall’esperienza acquisita sul territorio, esprimendo lamentele riguardo le proposte e sollevando dubbi e contestazioni riguardo le valutazioni tecniche degli scienziati. Di contro, le istituzioni non mostrarono alcun segno di apertura nei confronti delle contestazioni, minando l’economia locale e in modo significativo e definitivo la fiducia dei cittadini.
Studi su questo caso, come quello condotto da Brian Wynne nel 1898, dimostrarono che l’accettazione dei cittadini di fronte a decisioni fondate su conoscenze tecniche, dipende fortemente dalle loro esperienze personali e soprattutto dalla qualità della comunicazione instaurata con le organizzazioni responsabili, che deve mantenersi coerente, coordinata e incentrata sull’interoperabilità. Questi aspetti sono estremamente importanti anche in altri domini, ad esempio nel campo dell’educazione ai Cambiamenti Climatici, nella salute pubblica, o in piani di gestione delle emergenze.