La comunicazione del rischio nella gestione dell’emergenza Coronavirus

La comunicazione del rischio nella gestione dell’emergenza Coronavirus

Articolo a cura della pagina Facebook “Coronavirus – Dati e Analisi Scientifiche“.
Photo by Jason Rosewell on Unsplash.


Nella gestione dell’epidemia COVID-19 in Italia ci sono molti aspetti da migliorare. Tra questi, un ruolo fondamentale lo ha la comunicazione del rischio. Coordinamento, tempismo, target di riferimento e canali di comunicazione sono gli ingredienti fondamentali di una corretta strategia comunicativa per la gestione delle emergenze.

 

Siamo al termine  di un vero e proprio tour de force, cadenzato dal ritmo incessante delle tappe decise dal governo: 4 maggio, fine del lockdown e apertura delle prime attività lavorative; 18 maggio, riaprono vendita al dettaglio, bar e ristoranti; 25 maggio, è il turno di piscine e palestre. Infine il 3 giugno, con la riapertura delle regioni e delle frontiere con l’Unione Europea (per la cultura si può ancora aspettare: cinema, teatri e musei riapriranno a metà giugno, le scuole a settembre).

Eppure, nel racconto istituzionale, la Fase 2 sarebbe dovuta essere molto altro. Innanzitutto, la condivisione di una strategia comune per il monitoraggio del rischio epidemiologico, per il tracciamento dei contagi, per il trattamento dei nuovi casi, e non solo un conflitto permanente fra Ministri, Presidenti di Regione e Sindaci. Scontri e diatribe continue, a volte per sollecitare aperture più rapide delle attività produttive, altre volte auspicando una maggiore prudenza.

Un esempio su tutti, l’app Immuni: tanto invocata durante la Fase 1 come possibile soluzione al problema, è praticamente scomparsa dai radar nel corso della Fase 2 e sarà solo sperimentata in alcune regioni dall’inizio di giugno. «Certamente un esempio di gestione non ottimale della comunicazione, innanzitutto da parte del Governo centrale, ma anche da parte degli altri livelli istituzionali» commenta Luca Save.

 

FATTORI UMANI E GESTIONE DELLE EMERGENZE

Esperto di Sicurezza e Fattori Umani, nell’ambito della sua attività di ricerca da oltre vent’anni Save si occupa di prevenzione e gestione delle emergenze: naturali o causate dall’uomo, attese oppure impreviste. Catastrofi ambientali o emergenze sanitarie, come quella prodotta dal nuovo coronavirus; oppure disastri aerei e ferroviari, in ambienti ad elevata complessità tecnologica ma dove è sempre la prestazione umana a fare la differenza. «Scenari apparentemente molto diversi tra loro ma legati da una serie di principi comuni che riguardano la comunicazione del rischio, elemento imprescindibile per la gestione di qualunque emergenza».

Save lavora per Deep Blue, società particolarmente attiva nell’ambito dei progetti di ricerca europei. Insieme all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nel 2017 ha coordinato un’esercitazione pilota che simulava l’identificazione di un nuovo focolaio di malattia durante la fase finale di un volo internazionale, che stava per atterrare all’aeroporto di Fiumicino. Le linee guida adottate durante quell’esercitazione hanno fornito elementi di valutazione molto interessanti, che è utile riconsiderare adesso, alla luce degli errori commessi fin qui nella gestione dell’epidemia COVID-19 in Italia. «Nella gestione di un’emergenza, la prima domanda che le varie istituzioni e organizzazioni coinvolte dovrebbero porsi è se siano pronte a comunicare con il pubblico a cui si rivolgono con il necessario tempismo e in modo chiaro e coordinato» spiega Save.

 

GOVERNO E REGIONI IN ORDINE SPARSO

A guardar bene, quello del coordinamento della comunicazione tra governo centrale e amministratori locali è stato fin dall’inizio il tallone d’Achille della gestione dell’emergenza in Italia. Per capirlo basta ricostruirne le tappe fondamentali.

Il 25 febbraio il Presidente della Regione Lombardia, riferendosi alle conseguenze del contagio, dichiara: “Il virus è molto aggressivo nella diffusione ma molto meno nelle conseguenze. È poco più di una normale influenza”. Solo due giorni dopo, il 27 febbraio, il Governo decide la serrata di Milano e di altri comuni del Nord; per tutta risposta il sindaco Sala lancia lo spot #milanononsiferma, con il supporto del segretario del PD Zingaretti che brinda ai Navigli (per poi risultare positivo al coronavirus) e del quotidiano La Repubblica che titola “Riapriamo Milano”.

 

5 marzo, il governo valuta la chiusura delle scuole in tutta Italia; Conte, che apparirà in tv solo a tarda sera, viene scavalcato dai rumors e la notizia, ancora non ufficiale, è già su tutti i giornali. 7 marzo, il Comitato di Crisi guidato dal premier Conte decide di blindare 14 province, la bozza del decreto arriva ai presidenti di Regione, si innesca una catena di sant’Antonio che in pochi minuti porta la notizia alla stampa. Risultato: esodo di migliaia di persone potenzialmente infette da Nord a Sud. 28 aprile, la regione Calabria annuncia in totale autonomia la riapertura di bar e ristoranti salvo poi essere fermata dal tribunale del Tar. 3 giugno, il governo decide la riapertura delle regioni, il governatore della Campania De Luca minaccia la chiusura per chi proviene dal Nord mentre la governatrice Jole Santelli invita i lombardi ad andare in vacanza nella sua Calabria.

 

UN DIFFICILE COORDINAMENTO

«Il coordinamento tra i diversi livelli istituzionali è una sfida difficile per un Paese che attribuisce alle Regioni il potere di gestire i propri sistemi sanitari a livello locale, ma è anche un requisito essenziale della comunicazione del rischio. Comunicare in ordine sparso genera sfiducia nelle autorità, riducendo la credibilità delle informazioni che vengono fornite» spiega Luca Save citando le linee guida di Darwin, un progetto di ricerca europeo del programma Horizon 2020, che oltre a ISS e Deep Blue, tra i partner italiani aveva anche ENAV (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile).

 

IL FATTORE TEMPO

Coordinamento, dunque, ma non solo. La tempestività nelle comunicazioni è un altro principio fondamentale della comunicazione del rischio. «Soprattutto nell’era dei social network, in cui un fatto è immediatamente notizia, governo e istituzioni devono avere una struttura organizzativa pensata per le emergenze, che sappia comunicare con tempismo e nel migliore dei modi, altrimenti la comunicazione istituzionale è puntualmente scavalcata e favorisce il dilagare delle fake news» dice Save.

 

PARLARE A TUTTI, MA DISTINGUERE I DIVERSI TIPI DI TARGET

Alla base di ogni strategia comunicativa c’è l’individuazione dei target di riferimento (le diverse tipologie di interlocutori a cui ci si rivolge) e dei migliori canali di comunicazione per poterli raggiungere. Durante un’emergenza pandemica ci si rivolge a tutti e quindi il pubblico è estremamente variegato. Differenze anagrafiche, culturali e di lingua necessitano di essere affrontate con una strategia comunicativa capace di abbracciare tutti, semplice nei messaggi ma complessa nelle sue articolazioni. Ai canali di comunicazione tradizionali (giornali e telegiornali, radio e tv) è necessario affiancare la rete e i social network. Alla comunicazione fatta da attori istituzionali è importante affiancare quella di altre figure, riconosciute come autorevoli o che esprimano fiducia in determinati settori della popolazione: esperti tecnico-scientifici oppure testimonial, come i cantanti e gli attori che hanno dato vita alla campagna per il distanziamento sociale nelle prime fasi dell’epidemia in Italia.

Save ricorda che «All’inizio dell’emergenza, quando ancora non c’erano divieti, il primo tentativo di spiegare il distanziamento sociale ai giovani è totalmente fallito. Il target giovanile ha completamente ignorato le indicazioni del governo e allora sono scesi in campo sportivi, cantanti e personaggi dello spettacolo che, soprattutto attraverso i social, hanno lanciato messaggi per il pubblico dei più giovani».

 

COMUNICARE LA COMPLESSITÀ IN MODO SEMPLICE

Nel corso della sua carriera, Save si è occupato a lungo di prevenzione degli incidenti (ne racconta nel suo libro “Un colpevole ci dovrà pur essere. I luoghi comuni sugli incidenti e le strategie più efficaci per evitarli”, riferendosi soprattutto al settore aereo e ferroviario). Più recentemente ha invece approfondito il tema della gestione delle emergenze includendo le crisi di lunga durata, come quella legata al COVID-19, che si differenziano dagli incidenti per la necessità di una partecipazione attiva dei cittadini colpiti dall’emergenza, fondamentale per giungere più rapidamente ad una soluzione.

In questo contesto la comunicazione gioca un ruolo davvero strategico, facilitando l’adozione di comportamenti corretti anche nelle situazioni più difficili da interpretare. Tuttavia, la comunicazione del rischio non può prescindere da un’adeguata comunicazione scientifica e questo rende il lavoro del comunicatore più complesso. Comunicare dati e analisi scientifiche è fondamentale per dare autorevolezza al messaggio e per infondere fiducia nei cittadini; ma i messaggi devono essere semplici e comprensibili a tutti, altrimenti generano l’effetto opposto, causando confusione, fraintendimenti o peggio rigetto delle indicazioni trasmesse.

Chi ascolta il messaggio non è detto abbia le competenze scientifiche necessarie per la sua piena comprensione, ma può comunque coglierne gli aspetti più importanti, che poi determinano i corretti comportamenti. «Per questo le autorità di governo e gli amministratori locali dovrebbero riconoscere l’importanza di rivolgersi a diverse tipologie di esperti: scienziati, certo, ma anche esperti di comunicazione pubblica e istituzionale da un lato ed esperti di comunicazione scientifica dall’altro. Queste competenze non devono essere confuse con quelle tipiche della comunicazione politica che, pur fondamentale, svolge un ruolo diverso. Quest’ultima dà visibilità all’azione politica di singole personalità, massimizzandone i consensi, ma non è sempre la forma di comunicazione più appropriata per orientare i comportamenti delle persone e facilitare la comprensione di fenomeni complessi.

 

L’ESEMPIO DEI 21 CRITERI DI MONITORAGGIO

Un esempio interessante di gestione inadeguata della comunicazione è offerto dai 21 criteri di monitoraggio del rischio sanitario adottati dal Ministero della Salute per la gestione della Fase 2. Troppo numerosi e complessi, non adeguatamente semplificati e sintetizzati sono risultati inaccessibili alla maggioranza dei cittadini, e mal compresi dagli organi di informazione. Una difficoltà emersa in modo evidente quando il Ministro Speranza si è trovato a doverli spiegare in un noto talk show politico su “La7”, suscitando diffidenza e scherno nei suoi interlocutori.

«Senza uno sforzo di semplificazione, il messaggio, pur scientificamente fondato, diventa del tutto inefficace e persino controproducente. In questo caso si sarebbero potuti individuare pochi macro-criteri, più facilmente comunicabili, e invece si è trasmessa l’idea che non ci fosse alcun criterio oggettivo. In pratica si è restituita l’impressione che tutte le decisioni da prendere nella Fase 2 scaturissero dalla sterile dialettica fra chi sosteneva che si dovesse riaprire tutto e subito e chi in invece raccomandava una maggiore prudenza. Una discussione apparentemente più legata al diverso colore politico dei vari livelli istituzionali ed alla loro conflittualità, che ad una reale valutazione dell’andamento dell’epidemia nelle diverse zone del Paese».

 

UNA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO EFFICACE

Per concludere, nella gestione dell’emergenza coronavirus ci sono molti aspetti da migliorare e tra questi un ruolo fondamentale lo ha la comunicazione del rischio.

Dare messaggi coordinati e univoci, evitando la sovrapproduzione di comunicazioni soprattutto se tra loro discordanti. Comunicare con tempismo ed evitare di essere scavalcati dagli eventi. Circondarsi di esperti nella comunicazione, capaci di tradurre messaggi complessi in parole semplici ed efficaci. Parlare in modo chiaro alle persone, senza generare fraintendimenti. Distinguere fra comportamenti consentiti e comportamenti vietati o sconsigliabili, ma anche aiutare le persone a comprendere le ragioni alla base dei comportamenti più opportuni, senza assumere toni paternalistici, che finirebbero per essere solo controproducenti.

Poche linee guida che possono fare la differenza tra una comunicazione fine a se stessa ed una comunicazione del rischio efficace.

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