Il benessere psicologico degli astronauti e la coesione dell’equipaggio sono elementi fondamentali per il successo delle missioni di lunga durata. ESA ha scelto Deep Blue per insegnare ai suoi astronauti come lavorare al meglio in team.
LA LEZIONE DELLA MIR
Il 24 febbraio 1997, sulla stazione spaziale russa Mir ci fu un incendio, il peggiore mai scoppiato su un veicolo orbitante. L’astronauta russo Aleksandr Lazutkin ricorda così l’incidente: “Quando vidi il fumo nella navicella la prima cosa a cui pensai fu di aprire una finestra. Allora mi spaventai davvero. Non puoi sfuggire al fumo. Non puoi semplicemente aprire una finestra e ventilare la stanza”. L’equipaggio riuscì a spegnere l’incendio, ma il fuoco fu solo il primo di una serie di imprevisti che quell’anno misero a dura prova gli astronauti della missione del programma Shuttle-Mir di Stati Uniti e Unione Sovietica: avarie nei sistemi di bordo, una quasi-collisione con una navetta cargo, un black-out che provocò una perdita di assetto e conseguenti giravolte nello spazio. Roba da far uscire di testa anche il migliore degli astronauti. Come Jerry Linenger, l’astronauta statunitense che passò sulla Mir 132 giorni (record per un americano): durante la missione lamentò un senso di isolamento e litigò spesso con il Ground, il centro di controllo della missione (tutti i dettagli nel libro Dragonfly: NASA and the Crisis Aboard Mir di Bryan Burrough costruito su centinaia di ore di interviste con astronauti, controllori, scienziati e psicologi).
Dallo shuttle alla stazione spaziale: gli astronauti passano sempre più tempo nello spazio
“Col programma Shuttle-Mir gli astronauti statunitensi passarono dalle missioni a bordo degli shuttle, della durata di 1-2 settimane, al trascorrere mesi sulla stazione spaziale talvolta senza un’adeguata formazione e preparazione psicologica – spiega Simone Pozzi, CEO di Deep Blue ed esperto di innovazione human-centred in settori ad alta tecnologia – non a caso ci furono casi di litigi nell’equipaggio, con il personale di supporto a terra, e di astronauti che si rifiutarono di parlare con il Ground”. Le critiche mosse al programma – soprattutto sulla sicurezza – aiutarono a migliorare dispositivi e procedure; soprattutto, la NASA (National Aeronautics and Spatial Administration) si rese conto di aver sottovalutato le difficoltà emotive, psicologiche e sociali degli astronauti impegnati in missioni spaziali di lunga durata. Fu un punto di svolta: dagli anni Duemila le agenzie iniziarono a prestare più attenzione agli aspetti psicologico-comportamentali nella selezione e formazione degli astronauti.
Allenare il carattere e l’attitudine al team working
“Oggi a un aspirante astronauta non si chiede più solo di eccellere in campo professionale – dice Angela Donati, psicologa e Senior Training Consultant in Deep Blue – deve pure soddisfare requisiti caratteriali individuati sia per escludere la presenza di psicopatologie sia per indirizzare la scelta verso i candidati più adatti: flessibili, consapevoli, cooperativi, adatti a lavorare in team”. Capacità che fanno parte del bagaglio caratteriale personale ma che possono essere “allenate” per migliorare l’affiatamento del team e quindi contribuire al successo di una missione.
DEEP BLUE FORMA I NUOVI ASTRONAUTI ESA: Il corso Human Behaviour & Performance
“La vera frontiera delle future esplorazioni spaziali è la prestazione umana, fondamentale per saper affrontare situazioni inaspettate e ostili e per far funzionare al meglio un team di astronauti che oggi è impegnato in missioni di qualche mese ma in prospettiva, pensando alle missioni che si stanno progettando sulla Luna o verso Marte, anche per anni” ribadisce Pozzi. Lo sa la NASA e lo sa pure l’ESA (European Spatial Agency) che ha affidato a Deep Blue un corso di “Human Behaviour & Performance” da tenere ai nuovi astronauti Sophie Adenot, Pablo Álvarez Fernández, Rosemary Coogan, Raphaël Liégeois e Marco Sieber selezionati lo scorso novembre tra oltre 22.500 candidati presentati dagli Stati membri dell’ESA (a loro si aggiungerà Katherine Bennell-Pegg, Director of Space Technology presso l’Agenzia spaziale australiana). Il corso – 40 ore totali – si terrà dal 4 al 12 maggio presso lo European Astronaut Centre di Colonia, in Germania.
“Sono gli astronauti stessi ad ammettere che per il successo di una missione è fondamentale saper lavorare in team, andare d’accordo con i compagni anche in situazioni di stress e difficoltà, essere consapevoli di sé stessi e del fatto che ogni azione personale ha un impatto su tutto l’equipaggio”, prosegue Anna Giulia Vicario, Human Factor Researcher & Consultant in Deep Blue, che assieme a Pozzi e Donati terrà il corso all’ESA. Hanno tutti già esperienza in materia, avendo formato sullo stesso tema sia il personale dei centri di controllo aerospaziali, sia controllori di volo in aviazione, vigili del fuoco e piloti di droni.
“Cercheremo di dare ai nuovi astronauti gli strumenti per trarre il massimo da ogni situazione, nel lavoro di squadra e nelle situazioni di incertezza che incontreranno senza però ‘sovraccaricare’ troppo”, dice Donati. Dopotutto i “magnifici 5” sono solo all’inizio di un lungo programma di formazione (il corso rientra nel primo anno di addestramento base, a cui ne seguirà un secondo per la Stazione Spaziale Internazionale e infine, una volta che verranno assegnati a una missione, uno più specifico) che li terrà impegnati in classe e sul campo. “Se i protocolli di addestramento dei piloti sono molto approfonditi, quelli degli astronauti lo sono 10 volte tanto – spiega Pozzi – negli anni che servono per preparare una missione, anche 7 anni in alcuni casi, un astronauta ripete le stesse azioni centinaia di volte finché non gli vengono spontanee come respirare. Poi passa all’analisi e alla gestione degli ‘imprevisti’, che in una missione spaziale ci sono sempre”. In fin dei conti, un astronauta è pur sempre un esploratore di un mondo imprevedibile.
Le competenze comportamentali: una questione di sopravvivenza
Il corso prevede diversi moduli: comunicazione, per allenare la chiarezza comunicativa a bordo e con i centri di controllo; team work, per imparare a fare gruppo velocemente; leadership e followership, per svolgere al meglio il ruolo richiesto da un compito; conflict management, per imparare come gestire i conflitti a seconda delle situazioni; self care, per allenare la capacità di avere consapevolezza di sé, saper cogliere e gestire i segnali di stress; errore umano, per comprendere le condizioni in cui si verifica con maggiore frequenza e migliorarne la gestione; fattori multiculturali, per imparare a relazionarsi con astronauti con culture e background di formazione diversi (per esempio militari e scienziati). “Per un astronauta, allenare queste competenze comportamentali è fondamentale per raggiungere gli obiettivi e portare a termine le missioni, ma soprattutto perché ti salvano la vita” dice Donati. “Alcuni moduli saranno introdotti da Luca Parmitano, che spiegherà ai nuovi astronauti perché certi temi sono importanti. Quale migliore testimone di un uomo che ha preso parte a diverse missioni e sa cosa conta e come è meglio interagire nello spazio” aggiunge la psicologa.
Comunicazione e leadership
“Iniziamo parlando di comunicazione perché saper comunicare in modo chiaro e conciso è fondamentale sia negli scambi con il Ground sia all’interno dell’equipaggio – continua Donati – la comunicazione è strategica anche per riuscire a fare squadra in modo veloce. Lavorare sull’efficienza della comunicazione richiede di partire da un’analisi individuale sulle proprie caratteristiche comunicative per aggiustare il tiro quando il ricevente preferisce un altro stile di comunicazione e quindi saremmo poco efficaci”.
Altro tema fondamentale è quello della leadership, che nello spazio viene declinato in modo diverso rispetto a quanto siamo abituati in altri ambiti lavorativi: è una leadership tra pari, come dice Parmitano, e per questo deve essere esercitata con accortezza. “Essere a capo di una missione significa facilitarne il buon andamento e assicurare il benessere dell’equipaggio cercando un approccio non gerarchico ma di condivisione – spiega Donati – anche essere un follower è fondamentale: bisogna sapersi mettere a disposizione e anche molto velocemente, perché i cambi di ruolo sono repentini. Non riuscirci significa compromettere lo svolgimento delle attività”. Come ci si allena a essere leader e follower? Di nuovo è una questione di consapevolezza. “La prima cosa che faremo è spiegare cosa significano questi termini in una missione spaziale. Poi sproneremo gli astronauti a lavorare su sé stessi, riflettendo sui propri punti di forza e debolezza rispetto ai due ruoli. Un lavoro che poi metteranno in pratica con le esercitazioni”, continua la trainer.
“Rispetto all’autoconsapevolezza ci sono due temi da sottolineare – aggiunge Pozzi – da una parte gli astronauti saranno esposti a sollecitazioni mai incontrate prima e ciò potrebbe tirar fuori aspetti del loro carattere sconosciuti. Parte del training è proprio farglielo capire: dar loro consapevolezza dei meccanismi, delle reazioni che possono presentarsi in situazioni di stress e confinamento estremo”. Dall’altra è bene ricordare che sulla stazione spaziale interagiranno con un team internazionale di persone che hanno ricevuto un addestramento diverso rispetto a loro. “Quindi essere consapevoli di sé permette una comunicazione aperta e sincera con gli altri, il tutto finalizzato a un lavoro di squadra efficace”.
UNA PSICOLOGIA DELLO SPAZIO
Quello che si comincia a mettere in pratica con gli astronauti nella formazione comportamentale nasce in parte da studi condotti in altri tipi di ambienti estremi che hanno caratteristiche di confinamento e sono potenzialmente pericolosi per la vita delle persone, per esempio le stazioni in Antartide. “La ricerca in questo campo è solo all’inizio ma sarà sempre più importante in aerospazio perché ci si prepara a missioni sempre più lunghe e in ambienti sempre più estremi e diversi come la Luna o Marte” dice Donati.
Proprio in Antartide, cinque anni fa ci fu un incidente che fece notizia. Sulla stazione antartica russa di Bellingshausen, un avamposto sperduto sull’isola di King George a 120 chilometri dalla costa, lo scienziato Sergey Savitsky accoltellò, ferendolo gravemente, il collega Oleg Beloguzov. “Mi rivelava il finale dei gialli” si giustificò. Naturalmente, il motivo dell’aggressione era ben altro: un crollo emotivo innescato dai mesi trascorsi in solitudine in un ambiente estremo, che per molte caratteristiche – isolamento, mancanza di stimoli sensoriali, assenza di vie di fuga – è simile a quello spaziale. E può servire da modello per lo studio della salute mentale degli astronauti. In un paper del 2021 pubblicato sulla rivista Acta Astronautica gli scienziati hanno monitorato gli stati emotivi di oltre cento persone confinate in stazioni dell’Antartide per un periodo di nove mesi. Quello che è venuto fuori è stato il “tracollo” delle emozioni positive (soddisfazione ed entusiasmo) e soprattutto delle strategie per regolarle (del tipo guardare il buono delle cose o cercare di cambiare disposizione verso una situazione critica). Gli scienziati hanno osservato anche un aumento delle emozioni negative, ma con un trend più variabile e comunque legato al manifestarsi di disturbi di natura fisica. Risultati che possono tornare utili anche per prevedere i “rischi emotivi” a cui vanno incontro gli astronauti.
Già si conoscono alcuni fenomeni psico-fisici legati alla permanenza nello spazio: le illusioni dovute alla microgravità, per esempio, che possono far percepire parti del corpo in posizioni sbagliate (come “i piedi in testa”); oppure la fame sensoriale dovuta all’assenza di stimoli ambientali (che si è scoperto può essere “placata” con la musica). Sono però necessari altri studi che approfondiscano i meccanismi psicologico-comportamentali innescati dal confinamento spaziale, così da migliorare ulteriormente selezione, formazione, gestione degli astronauti. Per questo molti parlano della necessità di costruire una nuova branca della psicologia dedicata proprio allo studio degli effetti del volo spaziale sulla mente, in previsione delle prossime missioni ma pure del turismo nello spazio. Dopotutto, come ha detto lo psicologo della NASA Albert Holland: “Quello che facciamo è prendere persone normali, metterle in un ambiente non normale e chiedergli di vivere e lavorare assieme”. Che abbiano almeno le risorse psicologiche per farlo al meglio.