ENGAGE: educazione all’emergenza
Nel 2011 il Giappone settentrionale fu colpito dal terremoto del Tōhoku, che generò uno tsunami devastante. Fortunatamente, gli studenti della città di Kamaishi erano stati preparati all’eventualità di un simile avvenimento. Per questo motivo il numero di vittime fu significativamente inferiore rispetto a quello delle città limitrofe.
L’episodio di Kamaishi mostra quanto l’educazione all’emergenza e un’adeguata preparazione facciano la differenza e potenzino la resilienza nelle situazioni ad alto rischio. Esso è solo uno dei casi studio analizzati dal progetto ENGAGE – Engage Society for Risk Awareness and Resilience, finanziato nell’ambito del Programma europeo per la Ricerca e l’Innovazione Horizon 2020 e coordinato dall’istituto di ricerca norvegese SINTEF, Ente per la ricerca tecnica e industriale.
L’obiettivo di ENGAGE è focalizzarsi sugli aspetti sociali della gestione del rischio. Individueremo le soluzioni adottate da cittadini, comunità locali e organizzazioni non governative che hanno funzionato in determinate situazioni di crisi e valuteremo la possibilità di “esportarle” in contesti differenti – spiega Alberto Pasquini, Presidente di Deep Blue, partner che ha contribuito all’ideazione del progetto e coordinerà la fase di validazione dei risultati – Sarà importante caratterizzare il contesto ambientale (culturale, socio-economico, geografico) che ha determinato il successo delle diverse soluzioni e capire cosa influenzi la loro riproducibilità.
Società resiliente: ogni persona è responsabile
Nel valutare quanto una società abbia saputo rispondere efficacemente a un’emergenza (come una crisi economica o un attacco terroristico), immediatamente si fa riferimento alla prontezza e all’efficacia con cui le autorità pubbliche e i primi soccorritori hanno agito. Di certo la pandemia da COVID-19 ha evidenziato quanto la politica e gli operatori sanitari rivestano un ruolo fondamentale. Bisogna chiedersi però se il singolo individuo, che con le sue azioni e scelte più o meno responsabili influenza l’andamento dei contagi, sia sufficientemente preparato a gestire situazioni di crisi come questa.
Perché, dunque, non far conoscere le buone pratiche ai singoli, in modo da permettere di rispondere con una strategia efficace? Il progetto ENGAGE mira proprio a coinvolgere i singoli e a potenziarne la resilienza, in accordo con gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 e il quadro di riferimento di Sendai per la riduzione del rischio di disastri delle Nazioni Unite.
Le buone pratiche: apprenderle dal passato per adattarle al contesto
Per potenziare le capacità dei singoli occorre innanzitutto comprendere il contesto in cui questi sono inseriti. Per esempio, nel pieno della pandemia l’ONG italiana COSPE ha inventato PARLAMONDO, un servizio informativo multilingue (italiano, francese, inglese, arabo e cinese) accessibile tramite cellulare o e-mail, per aiutare gli immigrati a orientarsi nella giungla burocratica dei servizi, delle iniziative e delle regole imposte dalle autorità italiane. PARLAMONDO fornisce anche informazioni pratiche su come combattere eventuali discriminazioni e far valere i propri diritti.
È un esempio di best practices perché ha fornito una soluzione che ha funzionato in un contesto come quello italiano, dove l’amministrazione pubblica è “malata” di burocrazia e le procedure sono spesso contorte. Sarebbe facilmente riproducibile ma non avrebbe senso esportarla in una realtà in cui, per esempio, l’accesso a questo tipo di prestazioni è più snello e semplice. Nessuna iniziativa può essere considerata estraendola dal contesto culturale in cui è stata intrapresa – continua Pasquini.
Attraverso una revisione della letteratura scientifica e dei risultati di ricerche precedenti, ENGAGE mira a ricercare altre buone pratiche. Alcune potrebbero derivare ad esempio da DARWIN, un altro progetto Horizon 2020 finalizzato a migliorare la risposta della società dinanzi a disastri naturali o provocati dall’uomo. Inoltre, ENGAGE si affida all’esperienza dei membri della sua Knowledge and Innovation Community of Practice (Ki-Cop). Ad oggi, questa conta rappresentanti di 37 organizzazioni governative e della società civile. Include membri di autorità e agenzie del governo, come il Ministero dell’Interno e le Municipalità. Coinvolge poi i primi soccorritori, come paramedici o ufficiali di polizia. Infine, comprende organizzazioni non governative (ONG), gli studenti aquilani di scuole primarie e secondarie che hanno vissuto la tragedia del terremoto, ricercatori giapponesi, e gruppi di cittadini.
I casi studio, le simulazioni e la piattaforma ENGAGE Knowledge Platform
I sette casi studio presi in analisi riguardano disastri del passato su cui si hanno numerose e dettagliate informazioni. Oltre allo tsunami di Kamaishi, si studieranno il terremoto dell’Aquila del 2009 (oltre trecento le vittime), il disastro nucleare di Fukushima (2011), l’attacco terroristico del 2011 in Norvegia, quello avvenuto in Francia sul treno della compagnia Thalys nell’agosto del 2015, l’inondazione nel deserto del Negev del 2018 in Israele, e gli incendi che nel 2018 devastarono oltre duemila ettari di terra in Svezia.
Per migliorare le buone pratiche già in uso e comprendere quanto si sia in grado di gestire un’emergenza, verranno effettuati degli esercizi simulati in cui si dovrà immaginare un disastro e ipotizzare come ci si muoverebbe, in sinergia con i primi soccorritori e le organizzazioni che hanno più esperienza in materia.
Uno studio pilota, condotto assieme all’azienda sanitaria ASL Roma 1, simulerà un’onda di calore nella capitale italiana. Un’eventualità tutt’altro che remota secondo il Global Risk Report, e che tra il 1998 e il 2009 ha causato molte vittime in Europa. Un secondo immaginerà un attentato terroristico e cibernetico nei Paesi Baschi, per anni soggetti alla violenza del gruppo separatista ETA. Il terzo ed ultimo pilota presenterà una frana in Norvegia, paese che ha familiarità con questo tipo di eventi, e le sue conseguenze su infrastrutture e attività industriali.
Le analisi, le valutazioni e le buone pratiche emerse verranno elencate nella ENGAGE Knowledge Platform, una piattaforma aperta e interattiva. Destinata ad autorità pubbliche, cittadini, comunità e ONG, offrirà raccomandazioni, soluzioni, informazioni immediate e di facile comprensione da utilizzare nei momenti critici ad alto rischio in base alle necessità e ai ruoli del singolo. ENGAGE Knowledge Platform sarà in continuo aggiornamento, rispondendo ai feedback degli utenti e alle valutazioni della ricerca.