I Fattori Umani: cosa sono e perché sono importanti

I Fattori Umani: cosa sono e perché sono importanti

Cosa si intende per Fattori Umani? Perché preferiamo declinarlo al plurale rispetto a chi parla di Fattore Umano? E perchè pensiamo che si debba sempre meno parlare di Errore Umano, ovvero di errore del singolo, mettendo piuttosto in risalto i processi e gli elementi organizzativi che inducono all’errore? Ne parliamo con i nostri esperti Simone Pozzi e Luca Save. 

 

Alphonse Chapanis fu il primo psicologo a entrare in una cabina di pilotaggio. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i piloti dei Boeing B-17, i bombardieri della U.S. Army Air Forces, spesso sbagliavano manovra di atterraggio: invece di aprire il carrello, azionavano gli alettoni. Chapanis, che al tempo lavorava per l’Army Air Force Aero Medical Lab, capì che il problema era nella cabina di pilotaggio: le leve di apertura carrello e alettoni erano identiche e vicine, facile scambiarle sotto stress anche per un pilota esperto e capace. Così ebbe l’idea di mettere una rotella all’estremità della leva del carrello e un triangolo all’estremità di quella degli alettoni, in modo che anche solo toccandole i piloti potessero distinguerle. Funzionò.

Il merito di Chapanis fu l’essere andato oltre il ‘colpevole’, aver capito che l’errore umano nasceva da una progettazione dei comandi non funzionale e che intervenendo su questa si poteva scongiurare quel tipo di incidenti. Lo psicologo statunitense è considerato a ragione uno dei ‘padri’ dei Fattori Umani (Human Factors o HF), disciplina scientifica che analizza e migliora le interazioni tra l’uomo e gli elementi del sistema in cui opera per aumentare benessere umano e performance del sistema stesso (definizione dell’International Ergonomics Association). 

 

I Fattori Umani ieri e oggi, oltre ogni fraintendimento

Storicamente i Fattori Umani (anche se ancora non si chiamavano così) sono nati in ambito industriale per efficientare i processi produttivi. «Quando spiego agli studenti dei corsi universitari cosa sono i Fattori Umani inizio parlando di Taylor, l’ingegnere che ha teorizzato l’organizzazione scientifica del lavoro: ha cambiato il modo di lavorare ottimizzando l’interazione uomo-macchina in modo da massimizzare la produzione. In questo modo ha raggiunto risultati di produttività che l’innovazione tecnologica, da sola, non aveva permesso di raggiungere», spiega Simone Pozzi, amministratore delegato di Deep Blue e istruttore in Fattori Umani per EUROCONTROL (Agenzia pan-europea per l’aviazione) ed ESA (Agenzia Spaziale Europea).

Il termine Human Factors è entrato nel linguaggio comune dopo la Seconda Guerra Mondiale per merito dell’aviazione militare che capì che la progettazione degli strumenti di volo doveva essere centrata sul pilota, tenendo conto dei suoi limiti ed esaltandone le capacità. «Prima dei Fattori Umani tutto ciò che non si riusciva a spiegare con un problema tecnico, quindi chiamando in causa la tecnologia, veniva etichettato come errore umano – prosegue Pozzi – poi si è compreso che fattori esterni alla persona, per esempio la disposizione dei comandi all’interno della cabina di pilotaggio come insegna Chapanis, potevano essere la causa di quell’errore e che intervenendo su questi si miglioravano le performance dei piloti ed evitavano molti incidenti». In questi anni il termine Fattori Umani diventa essenzialmente sinonimo di sicurezza, un’accezione che in ambito aeronautico (e in generale dei trasporti) rimane preponderante tutt’ora. 

Oggi chi si occupa di Human Factors si interessa di tutti questi aspetti, ovvero potenziare le prestazioni di lavoro e aumentare sicurezza e produttività, e pure di qualcosa in più: migliorare l’usabilità dei prodotti tecnologici. Cercando di superare qualche pregiudizio e smontare luoghi comuni. «C’è ancora un grande fraintendimento riguardo ai Fattori Umani – dice Luca Save, esperto in Sicurezza e Fattori Umani e coordinatore delle attività di consulenza svolte da Deep Blue nel settore ferroviario – spesso e specialmente chi usa questo termine al singolare tende a confonderlo con la persona che opera all’interno del sistema o, nella migliore delle ipotesi, con la sua prestazione. Di solito, chi usa il termine con questa accezione lo contrappone alla tecnologia presente nel sistema per evidenziarne le debolezze e la propensione a commettere errori. Invece, la prestazione del singolo e quella del sistema in cui opera ‘si poggiano’ sui Fattori Umani, che sono un insieme di cose: elementi ‘interni’ alla persona come le capacità cognitive individuali, la fatica e lo stress, questi ultimi anche legati a un carico di lavoro eccessivo; elementi ‘esterni’ che riguardano il contesto lavorativo, la postazione di lavoro o l’interfaccia uomo-macchina per esempio, e l’organizzazione del lavoro ossia procedure, regole e policy aziendale; a ciò si aggiungono i rapporti che un’azienda ha con altre aziende e gli obblighi rispetto a framework regolamentari o normative nazionali e sovranazionali». 

Tutto ciò che è relativo alla persona e al contesto in cui opera e che condiziona la prestazione umana, questi sono i Fattori Umani. «Gran parte della ricerca e del lavoro di consulenza in HF si concentra sulle interazioni del singolo con i diversi elementi del sistema: le altre persone, gli strumenti e le procedure – continua Save l’obiettivo è migliorare la performance e aumentare la sicurezza. Errare è umano ma se ci limitiamo a liquidare gli errori con un ‘è colpa dell’uomo’ va da sé che abbiamo poco margine di intervento: sostituire di volta in volta il ‘colpevole’ o rimpiazzarlo con una macchina intelligente, scelta quest’ultima che comporta una serie di altre problematiche e non necessariamente risolutiva. Se invece abbiamo una visione completa, articolata di cosa sono i Fattori Umani allora scopriamo che ci sono molti elementi su cui intervenire. Partendo da una serie di riflessioni del tipo: la procedura era poco chiara? Le postazioni di lavoro mal concepite o le interfacce uomo-macchine mal disegnate? La formazione del personale non era adeguata?».

 

Cosa fanno gli esperti di Fattori Umani

Nel suo libro ‘Un colpevole ci dovrà pur essere. I luoghi comuni sugli incidenti e le strategie più efficaci per evitarli’ (Primiceri Editore, 2019), Luca Save riflette sull’importanza dell’integrazione dei Fattori Umani nella gestione della sicurezza partendo dall’analisi di incidenti nel trasporto aereo e ferroviario e in attività industriali complesse, tutti ambiti in cui Deep Blue svolge le sue attività di ricerca e consulenza in HF. «Nel campo dell’aviazione e specificatamente nel controllo del traffico aereo ci occupiamo spesso della cosiddetta gestione delle modifiche: cosa succede quando si introducono nuovi strumenti o procedure di lavoro? Quali problemi insorgono e quali sono le ricadute sulla sicurezza, sulla prestazione umana e quindi del sistema? Queste le domande da farsi, cercando di anticiparle in fase di progettazione degli strumenti o di stesura delle procedure o intervenendo in “post-produzione”, correggendo eventuali errori e problematiche emersi in seguito all’introduzione della novità».

In ambito ferroviario, Deep Blue collabora con decine di imprese nella valutazione del rischio e nell’analisi degli incidenti e inconvenienti centrate sui Fattori Umani. «Le imprese, comprese quelle ferroviarie, hanno un sistema di gestione della sicurezza, una lista dei rischi che si sono già verificati o potrebbero verificarsi. Quando il rischio è legato al comportamento umano, però, spesso viene etichettato con un generico ‘negligenza’ o ‘errore umano’. È importante far capire che ogni errore è diverso, ha cause differenti e spesso può essere prevenuto intervenendo sulle condizioni operative – spiega Save, aggiungendo che il Regolamento 762 del 2018 della Commissione (UE) obbliga imprese ferroviarie e gestori dell’infrastruttura a integrare Fattori Umani e Organizzativi nel sistema di gestione della sicurezza riguardo all’analisi degli incidenti, invece, tipicamente si procede con l’identificare il colpevole. È invece necessario, soprattutto per evitare il ripetersi di incidenti dello stesso tipo, capire cosa non ha funzionato. Per esempio, mettiamo che il macchinista abbia superato il limite di velocità lungo un determinato tratto ferroviario: siamo sicuri che fosse ben segnalato? Oppure, nel caso di una procedura trasgredita: era scritta in modo chiaro? L’operatore la conosceva? A quali esigenze rispondeva? Interferiva negativamente con i tempi e le modalità di lavoro?». 

 

I sistemi di gestione della sicurezza si completano con altre due attività: il monitoraggio delle prestazioni, ovvero uno sforzo costante di raccolta dati per determinare la frequenza con cui si verificano gli inconvenienti  e i cosiddetti ‘quasi-incidenti’ così da capire dove e come intervenire; la promozione di una cultura della sicurezza partendo da un’analisi delle conoscenze e competenze dei singoli sui temi della safety, non solo di chi opera in prima linea come macchinisti o controllori del traffico aereo ma anche dei vertici aziendali, che non dovrebbero mai contrapporre sicurezza e produttività. 

Sin qui abbiamo affrontato i Fattori Umani legandoli specificatamente al tema della ‘progettazione del lavoro’, inteso sia come strumenti sia come procedure, e di rimando a quello della performance lavorativa e della sicurezza. Ma i Fattori Umani sono molto altro, uno strumento di indagine per comprendere quali sono i limiti della tecnologia e quali le sue reali potenzialità, il mezzo per realizzare una tecnologia realmente centrata sui bisogni di chi ci lavora e la utilizza. «Nei progetti più orientati al futuro – chiarisce Pozzi – usiamo i fattori umani per capire dove vogliamo andare, quali aspetti della prestazione umana vogliamo preservare e quali invece vogliamo delegare ai computer, provando a progettare le nuove tecnologie secondo principi human-centered».

 

Il futuro dei Fattori Umani

«A chi mi domanda qual è il futuro dei Fattori Umani rispondo parlando di occhiali – conclude Pozzi – a tutti è capitato di cercare un paio di occhiali per poi ritrovarseli addosso. Il punto è proprio questo: gli occhiali sono diventati qualcosa di talmente ‘scontato’ da diventare ‘invisibile’. Bene, i Fattori Umani vanno in questa direzione: migliorare sempre più la progettazione e il disegno degli strumenti tecnologici in modo da trasformare la percezione che ne abbiamo da qualcosa di esterno a noi a qualcosa che fa parte di noi, del nostro modo di vivere. Lo scostamento è significativo ed è tra cosa noi percepiamo essere un’interfaccia diversa da noi e cosa invece percepiamo essere uno strumento parte del modo in cui ragioniamo. Ci arriveremo, intanto si lavora all’ottimizzazione dell’interfaccia in modo che la tecnologia ci aiuti a fare sempre di più. Comunque la si veda, i Fattori Umani sono un tema di human argumentation: come aumentare le capacità, le possibilità dell’essere umano con le nuove tecnologie».

I Fattori Umani diventeranno quindi sempre più un tema di produttività e complessità: dato uno strumento tecnologico, come faccio a spingere al massimo il suo utilizzo e ottenere sempre di più da chi lo usa, in situazioni sempre diverse? «Il grande scacchista Kasparov, che ha gareggiato con il computer Deep Blue, sapeva bene che il tema non era la partita tra uomo e computer, una sfida che l’uomo non avrebbe mai potuto vincere, piuttosto tra due coppie di umani-computer. La chiave è la collaborazione, la simbiosi, il nuovo team-work tra uomo e macchina». Una partnership resa più difficoltosa dalla complessità e dinamicità delle informazioni che la macchina gestisce e che l’uomo è in grado di recepire. «Nel taylorismo avevi una macchina statica, capire come far lavorare bene operaio e macchina era tutto sommato una sfida ingegneristica, al pari di far entrare una spina in un buco. Oggi l’intelligenza artificiale cambia in continuazione perché apprende in continuazione; d’altra parte anche il cervello dell’uomo è super-flessibile, pronto a immagazzinare informazioni diverse in tempi rapidissimi. Quindi la sfida dei Fattori Umani è progettare in modo ottimale un fit tra due cose in continuo cambiamento». Quando raggiungeremo questo obiettivo? «Sinceramente non lo so, ma so che c’è un numero ricorrente nelle rivoluzioni tecnologiche: venti. Il Taylorismo è arrivato vent’anni dopo la Rivoluzione Industriale; Internet ha mostrato tutte le sue potenzialità a vent’anni dalla sua invenzione. Insomma, forse dovremmo aspettare ancora un po’ per una tecnologia davvero human-centered, ma saranno certamente le nuove generazioni, che hanno una mentalità naturalmente predisposta al cambiamento e ormai considerano la tecnologia parte integrante della loro vita, anzi si aspettano sempre di più dai nuovi strumenti tecnologici, a rendere possibile questo cambiamento».

 

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