Stress, salute e sicurezza sul lavoro: cause e interventi possibili

Stress, salute e sicurezza sul lavoro: cause e interventi possibili

Il medico austriaco Hans Selye definì lo stress “il sale della vita”, mentre il professore e politico svedese Lennart Levi lo chiamò niente meno che “il bacio della morte”, mettendone in evidenza gli effetti negativi a lungo termine. Ma cos’è esattamente lo stress e come è possibile accorgersi in anticipo di alcune sentinelle?

Cos’è lo stress e perché si manifesta

Lo stress è comunemente definito come la risposta del corpo alle richieste che gli vengono poste e consiste in una serie di risposte psicofisiologiche, innescate da specifici eventi ambientali, che hanno la funzione di mobilitare l’organismo e predisporlo a reagire al meglio. Il nostro corpo infatti si sforza costantemente di mantenere l’equilibrio fisiologico (omeostasi) applicando numerosi meccanismi in risposta alle diverse condizioni esterne. Lo stress è uno di questi! Si tratta di meccanismi di adattamento e compensazione. Ad esempio, a tutti noi capita che con l’aumentare del calore corporeo viene prodotto sudore che, con l’effetto rinfrescante dell’evaporazione, raffredda il corpo nel tentativo di riportarlo alla sua temperatura normale. A volte le condizioni esterne mettono a dura prova i nostri meccanismi omeostatici oppure sono così estreme da annullarli: in questi casi, entriamo in una condizione di stress. È per questo che lo stress è una reazione umana naturale, perché serve come segnale che dobbiamo ristabilire l’omeostasi.

Pertanto, lo stress in sé non costituisce né un elemento positivo né un elemento negativo. Esso, piuttosto, può essere definito come un’informazione di ritorno che segnala lo squilibrio fra le richieste ambientali e le risorse individuali atte ad adempierle, a svantaggio di queste ultime. Alla luce di questo, ha poco senso cercare di “eliminare” lo stress: ciò non è possibile, né desiderabile. L’indicazione è, piuttosto, quella di andare a vedere come ribilanciare il rapporto richieste/risorse creando preventivamente delle possibilità di resilienza, sia individuale che organizzativa.

Secondo Selye, tutti rispondiamo agli agenti stressanti in modo simile: nella sindrome generale di adattamento, egli descrive come sintomi comuni siano un aumento della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna, della tensione muscolare, della vigilanza e del ritmo respiratorio, contemporaneamente alla riduzione dell’attività di tutti quei sistemi non direttamente connessi alla sopravvivenza, come il sistema immunitario e l’apparato digerente.

Queste risposte compongono il meccanismo psicofisiologico di risposta allo stress che si attiva in maniera automatica e aspecifica in ciascuno di noi quando incontriamo una fonte di stress. Perché si attiva automaticamente? Perché è biologicamente “progettato” per proteggerci da qualsiasi tipo di minaccia percepita. Vale a dire che, quando ci sentiamo minacciati, il nostro sistema nervoso risponde con questo meccanismo che attiva il nostro corpo per prepararlo a contrastare il pericolo e quindi per generare un adattamento alla situazione. Che significa aspecifica? Che questo meccanismo si attiva allo stesso modo in ciascuno di noi, senza differenze; ciò che invece ci differenzia (e che quindi è specifico) riguarda quali eventi o situazioni fanno scattare in noi questo meccanismo e cioè cosa è fonte di stress per ciascuno di noi.

Questo dipende unicamente dal singolo e cioè dalle sue caratteristiche di personalità (tratti stabili nel tempo e nelle diverse situazioni) e stili di attribuzione delle cause degli eventi, oltre che dalle circostanze contestuali.

 

Lo stress non è uguale per tutti

Possiamo quindi avere diverse esperienze di stress, che variano dalla sensazione traumatica a seguito di un inconveniente reale, alla preoccupazione per possibili danni imminenti, alla percezione di sfida (cioè di stare per affrontare una situazione estremamente difficile per la quale, tuttavia, sentiamo di avere buone strategie a disposizione), fino a una sensazione prolungata di logoramento, mancanza di energia e disaffezione per il proprio lavoro. Questi differenti tipi di esperienza di stress (trauma, preoccupazione, sfida, burnout) si generano a partire da differenti condizioni antecedenti, sia ambientali/operative che personali. Ciascuna di esse può avere differenti conseguenze sulla performance umana: ad esempio, il timore di un danno imminente può causare una sensazione di stress acuto che produce uno stato di inibizione cognitiva tale da ostacolare pesantemente la capacità di analisi, l’impiego dell’attenzione focalizzata e la velocità nel prendere decisioni. D’altra parte, la percezione di sfida è spesso associata a una performance ottimale, se non straordinaria, ed è la porta verso l’apprendimento e la crescita personale. Infine, il senso di stanchezza e di logoramento possono cristallizzarsi in una esperienza di burnout che può determinare delusione, improduttività, disinteresse per la propria attività professionale quotidiana e in taluni casi addirittura ostilità verso clienti, colleghi e superiori.

Da queste considerazioni è possibile intuire come lo stress possa costituire un problema per le organizzazioni perché può essere alla base di infortuni, azioni rischiose, violazioni, assenze per malattia, turnover, lamentele formalizzate da parte dei lavoratori, segnalazioni del medico competente ecc, che possono avere un impatto sull’organizzazione in termini di produttività ma anche in termini economici. Lo stress deve quindi diventare un tema e la sua gestione è una responsabilità condivisa fra l’individuo e l’organizzazione.

 

Agire sulle fonti di stress: gli interventi di prevenzione primaria             

La prevenzione primaria riguarda tutti quei meccanismi volti a identificare e mitigare le fonti di stress, con l’intenzione di ridurle, modificarle o, quando possibile, eliminarle. Secondo Yarker (2007), esistono quattro competenze per la prevenzione dello stress: integrità e gestione delle emozioni; gestione del carico di lavoro (organizzazione proattiva dello stesso e risoluzione dei problemi); gestione delle situazioni critiche (es. conflitti, emergenze); gestione del lavoro di gruppo e crew resource management (supporto e coinvolgimento).  Se queste quattro competenze sono ben coordinate tra loro, le probabilità di sviluppare stress, quantomeno prolungato nel tempo, dovrebbero essere ridotte. Congiuntamente con queste dimensioni, è importante essere disposti ad attuare una procedura di job design, o specialmente di re-design, ossia reimpostare un lavoro adattandolo su misura della persona che se ne deve occupare: così facendo, se ne accrescono la motivazione e il senso di padronanza, potenziando così l’identità e la soddisfazione lavorative (Balducci, 2015).

 

Proteggere il benessere dei lavoratori: gli interventi di prevenzione secondaria

La prevenzione secondaria mira a proteggere l’individuo quando insorgono segnali di stress, ossia sintomi che accompagnano la ripetuta attivazione psicofisiologica (ansia, tensione, preoccupazione, ruminazioni, difficoltà di concentrazione, problemi del ritmo sonno-veglia) (Balducci 2015). Ovviamente è difficile gestire un problema senza conoscerne la causa; quindi, va da sé che sia impossibile procedere con la prevenzione secondaria senza integrare nel flusso anche la primaria. L’obiettivo diventa quindi quello di accrescere la consapevolezza rispetto ai segnali di stress a livello cognitivo, fisico ed emotivo, per poi connettere questi segnali alle fonti di stress che li hanno elicitati e infine promuovere l’individuazione e l’implementazione di strategie di coping (modalità di far fronte) per mantenere o riguadagnare un equilibrio sostenibile fra richieste e risorse.

 

Il progetto di Aeroporti Di Roma (ADR) e Deep Blue per la prevenzione dello stress in aviazione

Quando vogliamo raccontare la differenza fra ambienti di lavoro poco stressanti e ambienti di lavoro molto stressanti dobbiamo fare riferimento all’interazione tra tre caratteristiche: richiesta (alta/bassa), che corrisponde al carico di lavoro; controllo (alto/basso), che si riferisce sia alla discrezionalità decisionale (che riflette la flessibilità che può essere adottata nei confronti delle pratiche e delle procedure) sia al livello al quale vengono padroneggiate le competenze necessarie per svolgere un compito); supporto (alto/basso), che corrisponde al sostegno disponibile da parte di colleghi, sia di pari livello che di livello manageriale (Karasek, 1979). In quest’ottica, gli ambienti di lavoro stressanti sono solitamente caratterizzati dalla triplice combinazione ” elevata richiesta– basso controllo – basso supporto”, che riflette una condizione potenzialmente pericolosa per prestazioni e benessere. Al contrario, una combinazione di “bassa domanda – basso controllo – basso sostegno” potrebbe ridurre la motivazione ad apprendere e sviluppare nuove competenze, con conseguente maggiore passività. Un ambiente di lavoro “sano” per quanto riguarda lo stress, quindi, non dipende dal livello del carico di lavoro di per sè, ma da come quest’ultimo si combina con i livelli di controllo e supporto da parte dei colleghi.

Sulla base di queste considerazioni, risulta evidente come i mutamenti che hanno investito il mondo del lavoro in seguito all’emergenza sanitaria legata alla pandemia da COVID-19 e alle conseguenti disposizioni governative abbiano determinato l’emergenza di nuove fonti di stress per gli individui e le organizzazioni.

In ottemperanza a queste disposizioni le aziende si sono trovate a dover prendere decisioni importanti. Alcune aziende hanno dovuto lasciare alcuni lavoratori nel tradizionale luogo di lavoro, modificando pesantemente alcuni processi e procedure e ridimensionando la numerosità dei gruppi di lavoro; altre aziende hanno disposto lo Smart Working per tutto il personale, altre purtroppo hanno dovuto sospendere le loro attività produttive.

Come spiega Paola Tomasello, psicoterapeuta, psicologa dell’aviazione e specialista in Fattori Umani in Deep Blue, “Si è parlato molto di protezione sanitaria dal contagio nei luoghi di lavoro, ma forse non c’è stata altrettanta attenzione alla protezione psicologica dallo stress lavorativo introdotto dall’emergenza e alla relazione fra questo stress e la capacità dei lavoratori di mantenere livelli stabili di produttività, salute e sicurezza”. Nello specifico, Tomasello racconta quanto la drastica riduzione dei volumi di traffico e la gestione dell’emergenza sanitaria abbiano richiesto agli operatori aeronautici un cambiamento sostanziale nel lavoro sul piano organizzativo, relazionale e della sicurezza. “Ad esempio, procedure straordinarie sono state attivate e più volte modificate, e alcune strutture aeroportuali sono state riconvertite a presidi di prevenzione e gestione dell’emergenza Covid-19. Tutti cambiamenti necessari, ma che hanno avuto e potrebbero continuare ad avere effetti sullo stress e sul livello di benessere lavorativo delle persone, generando nuovi fattori di rischio per la sicurezza”.

A tal proposito Tomasello racconta della collaborazione avviata con ADR – Aeroporti di Roma (Fiumicino e Ciampino) per comprendere quali siano state le principali fonti di stress in periodo pandemico, per elaborare raccomandazioni pratiche per la valutazione e la gestione dello stress ed elaborare futuri corsi di formazione sul tema (Tomasello et al., 2021). “Ai dipendenti delle aree Movimento, Manutenzione e Terminal, indicati da ADR come potenzialmente i più esposti, è stato distribuito un questionario appositamente creato per la valutazione dei livelli di stress. L’analisi delle risposte è poi proseguita nell’ambito di Focus Group dedicati, che hanno avuto l’obiettivo di validare i risultati ottenuti ai questionari ed identificare una prima lista di azioni di mitigazione delle fonti di stress più citate”.

In questa prima fase l’analisi ha interessato soltanto il personale degli aeroporti, ma sarebbe utile ampliare il target anche ad altri professionisti aeronautici, come ad esempio piloti o controllori del traffico aereo, i quali potrebbero aver risentito dei lunghi periodi di inattività oppure, al contrario, del sovraccarico di lavoro dovuto alla riduzione del personale e dei cambiamenti repentini nelle loro mansioni dovuti all’emergenza. La valutazione e gestione dello stress è un tema che Deep Blue sta portando avanti ed esportando, grazie all’esperienza maturata (Tomasello P., Drogoul F., 2020), anche ad altre aziende del settore.

 

Gestione della salute psicologica e sicurezza sul lavoro: Dal “Regolamento Europeo 373” allo “Standard ISO 45003”

Diversi provvedimenti, tra cui il decreto legislativo 81/ 2008 (Testo unico sulla salute e la sicurezza dei lavoratori) riconoscono lo stress come una componente da rilevare e monitorare costantemente nelle organizzazioni sia pubbliche che private, e alcune linee guida, ad es. quelle diffuse dalla Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro e altre ad opera di INAIL (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), specificano anche come affrontarlo. Quello che ancora sembra mancare è un piano pratico incentrato sulla prevenzione, prima ancora che sulla gestione. “In aviazione” spiega Tomasello “un passo avanti è stato fatto nel 2017, quando è stato promulgato il Regolamento Europeo 373 che include gli effetti dello stress fra i rischi per la sicurezza aeronautica e obbliga i fornitori di servizi per il traffico aereo ad istituire programmi di rilevazione e gestione dello stress. Il medesimo obbligo è stato poi esteso anche alle compagnie aeree, che ora dovranno creare programmi di peer support per i propri dipendenti, ai sensi del Regolamento Europeo 1042. Sebbene questi Regolamenti siano stati promulgati prima dell’emergenza sanitaria, la pandemia li rende ancora più significativi e attuali, perché la diffusione del virus e i suoi effetti sulle nostre routine personali e professionali hanno portato alla luce gli aspetti biologici, psicologici, sociali ed economici del benessere in un modo che non abbiamo mai visto prima. È quindi verosimile che anche dopo la fine di tale emergenza lo stress continuerà ad essere un trend topic in aviazione», conclude Tomasello.

Un altro strumento importante è stato lo standard ISO 45003 “Gestione della salute e sicurezza sul lavoro – Salute psicologica e sicurezza sul lavoro – Linee guida per la gestione dei rischi psicosociali”, utile alle aziende per anticipare gli effetti negativi dello stress lavorativo. La procedura è quella di mitigare i livelli di frustrazione del personale grazie all’identificazione dei rischi psicosociali causati da determinate condizioni lavorative, siano esse legate ad aspetti quali l’organizzazione del lavoro, la cooperazione, l’ambiente e/o le attrezzature. Attraverso un’analisi chiara e il monitoraggio costante dei rischi psicosociali, le aziende potranno valutare l’evolversi delle due principali dimensioni, il benessere psicofisico del singolo e la produttività, in maniera congiunta ed esaustiva.

 

Fonti:

  • Balducci C. (2015), “Gestire lo stress nelle organizzazioni”, Società editrice il Mulino
  • Karasek R. (1979). Job demands, job decision latitude and mental strain: Implications for job redesign. Administrative Science Quarterly, 24, 285-306
  • European Aviation Safety Agency (2017), Acceptable Means of Compliance (AMC) and Guidance Material (GM) to Part-ATS: specific requirements for providers of air traffic services (ATS), (ER) 2017/373 GM1 ATS.OR.310 https://www.easa.europa.eu/sites/default/files/dfu/Annex%20IV%20%28Part-ATS%29%20to%20ED%20Decision%202017-001-R.pdf
  • Tomasello P., Drogoul F. (2020), Managing stress in ATM, EUROCONTROL https://skybrary.aero/sites/default/files/bookshelf/5628.pdf
  • Tomasello P., Ruscio D., Guidi S., Pozzi M., Terenzi M. (2021), Pandemia COVID-19 e stress lavorativo: quali rischi per la performance e la sicurezza e come affrontarli? In AAVV, La gestione delle emergenze ai tempi del COVID-19, I quaderni di ANACNA

Crediti immagine: Elisa Ventur, Unsplash

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